Il brivido del “top”

Noi ci vergogniamo un po’ a chiamarlo ping pong. Loro, che sono i maestri, invece lo conoscono solo così. In Cina pronunciano con la “o” che si apre quasi in una “a” e la g” alla fine non si sente più: ping pan.

Così il nostro punto d’incontro tra uomini e racchette, luogo dove raccontare gli uni e le altre, l’abbiamo chiamato Ping Pong Magazine. E ne abbiamo trovata pronta una spettacolare sintesi visiva nello storico francobollo della Repubblica Popolare con l’effige di Jan–Ove Waldner, il fuoriclasse svedese, campione mondiale e olimpico a cavallo del Millennio, il primo straniero di sempre a meritare un simile onore. Non tra gli sportivi: in assoluto. Uno straordinario incontro tra culture sportive che si rispettano nel momento in cui esprimono eccellenza in un’arte condivisa.

Ping Pong Magazine nasce per raccontare gli uomini e le racchette protagonisti di uno sport olimpico, praticato e riconosciuto ad altissimi livelli in gran parte del globo e in particolare nelle nazioni oggi trainanti: Cina e Germania.

Uno sport che in Italia è molto conosciuto nella sua dimensione di passatempo da oratorio o stabilimento balneare (allora lo chiamiamo ping pong) e per nulla nella versione “tennistavolo”, disciplina sportiva, regolata da una Federazione (Fitet) affiliata al Coni, con tornei individuali e campionati a squadre. E classifiche computerizzate. Così succede che i tesserati in Germania siano più di 800mila e da noi poco più di 10mila.

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Eppure chi ha provato il brivido di tirare un “top” bello carico, di mascherare l’effetto di un servizio, di far affossare la palla all’avversario con un palleggio tagliatissimo, sa che il ping pong, quando ti prende, ti prende. E non ti molla più. E’ tecnica e velocità, astuzia e tocco vellutato, gambe d’acciaio e sangue freddo, potenza e coordinazione, strategia e riflessi.

Può giocarlo uno di 8, come uno di 88 anni, ciascuno contro i coetanei ma anche uno contro l’altro. Da fermo o volando da un angolo all’altro del tavolo. Da giovane ti insegna la disciplina dell’allenamento e ti spara in vena l’adrenalina del torneo. Da “veterano” ti obbliga tenerti in forma senza distruggerti tendini e giunture. Ci sarà un motivo se di punto in bianco, ai tempi di Mao Tse Tung, i cinesi l’hanno scelto come sport nazionale. Fino a diventarne i maestri assoluti.

Dicono che è come giocare a scacchi correndo i 100 metri. Di sicuro è lo sport che più assomiglia a un videogame. E’ ora che anche in Italia impariamo a conoscerlo nella sua dimensione piena e affascinante: quella della Cina e di Jan-Ove Waldner. E della Germania di Timo Boll, del Giappone di Mizutani, della Francia, della Corea, della Russia, della Svezia, del Portogallo, della Grecia…

Provare a giocarlo con un buon istruttore significa innamorarsene. Per la vita. Come è capitato a noi. E a tutti i pongisti che vi faremo incontrare in queste pagine.

Chiederemo loro di raccontarci le loro storie, le loro racchette e di darci anche dei consigli per diventare giocatori sempre più abili. Appuntamento qui, sul tavolo di Ping Pong Magazine.

 

 

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